“Fare il pilota non è per tutti. Fare il pilota significa essere dei folli, dei ribelli o dei sognatori”: nel film Rush, Niki Lauda dà una straordinaria interpretazione di cosa significhi essere un pilota.
Jules non era un folle, e nemmeno un ribelle. Ma un sognatore lo era, lo è e lo sarà sempre, per un ragazzo che “vuole solo correre in Ferrari e vincere in Formula 1”.
Parole già sentite, da quello che è il suo fratello acquisito: Charles Leclerc.
Fu proprio Charles, a Spa nel 2018, uno dei primi (se non il primo in assoluto) ad essere salvato dall’HALO, il dispositivo che protegge la testa dei piloti. Che cosa c’entra? Beh, quel dispositivo venne studiato ed introdotto proprio dopo l’incidente di Jules a Suzuka, il 5 ottobre 2014. E, ad oggi, ha salvato decine di vite.
Leclerc, Hamilton, Grosjean, Zhou: tutti quanti non sarebbero probabilmente usciti vivi dai loro incidenti senza l’introduzione dell’HALO. Non ultima Bianca Bustamante, pilota Prema nella F1 Academy, che sabato scorso a Monza si è vista piombare una vettura in testa: nessuna conseguenza, proprio grazie alla protezione del dispositivo.
Jules Bianchi continua a vivere. Vive nel ricordo di Charles, vive ogni volta che qualcuno viene salvato dall’HALO. Continua a vivere nel ricordo degli appassionati, che dopo Ayrton Senna credevano che la sicurezza fosse tale da non perdere mai più un pilota.
Quella di Jules è ancora una ferita molto aperta, di quelle che dopo 8 anni esatti bruciano ancora. Un ricordo che dal 17 luglio 2015 non è mai sbiadito, anzi, ha continuato a crescere nella memoria dei nuovi appassionati di questo splendido, talvolta crudele, e (fortunatamente) in rari casi, fatale.
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