Scopriamo insieme chi era Roland Ratzenberger, il pilota scomparso 30 anni fa a Imola nel più tragico weekend di Formula 1
“A 12 Roland aveva costruito la sua prima auto di legno. Provateci voi a cambiare il sogno di un ragazzo che sin da quando ha quattro anni ripete che lui farà il pilota e che il suo idolo era Niki Lauda…” – Rudolf Ratzenberger, padre di Roland Ratzenberger.
No, dimenticatevi per un attimo il classico stereotipo del pilota: veloce, affascinante, occhiali da sole e capelli al vento, posa pensierosa e talento cristallino da vendere. Accostate per un attimo quest’immagine nella vostra testa: Roland era tutt’altro che un ragazzo che si dava arie, dal fare altezzoso. Roland Ratzenberger era un grande lavoratore, un bambino con un grande sogno, uno che pur di toccare il volante di Formula 1 avrebbe dato la vita.
E, alla fine, ha dato davvero la vita per la Formula 1.
A 4 anni racconta a papà per la prima volta il suo desiderio: vuole correre in Formula 1, vuole diventare un pilota. Il suo idolo è Niki Lauda, e farà di tutto per imitarlo: parole che pronunciate da un bimbo possono suonare come un classico sogno irrealizzabile, eppure a quel sogno Roland ci crede davvero. A 12 anni si costruì la prima piccola macchina di legno con cui sfidò gli amici sui tornanti austriaci, a 17 invece riparò un vecchio Maggiolino con cui scorrazzava nei campi di un contadino.
L’adolescenza e l’arrivo in Italia
Durante la sua adolescenza Roland decise poi di lasciare improvvisamente la scuola professionale: si mise prima a fare il meccanico, poi l’istruttore e il collaudatore. L’Austria, però, non dava troppe opportunità nel motorsport: venne quindi a lavorare nel nostro Paese, a Monza, dove la cultura per i motori è profanamente sacra. Qui l’avevano soprannominato “Rolando Topo di Montagna” per via delle sue origini, come racconta il padre.
Ormai però Roland ha 33 anni, e il sogno della Formula 1 è pressochè irrealizzabile. E invece, mentre è in Formula 3000 giapponese, la sorpresa: Ratzenberger spende tutte le sue fortune per correre “a gettoni” in F1, come pilota pagante. Lo fa al volante della Simtek, una scuderia che l’anno prima di entrare nel motorsport produceva macchine da cucito. E come potrete ben intuire, la macchina non era certo celebre per la competitività: papà Rudolf definisce la macchina del figlio “un cetriolo”, una vettura che prendeva dai 5 ai 6 secondi dal primo classificato.
Lui che “voleva dimostrare che con la passione si può arrivare dappertutto“, e che il suo sogno lo aveva appena realizzato per davvero. Lui che, piccolo aneddoto, beveva soltanto acqua e succhi di frutta, perchè “l’alcool toglie lucidità, e noi piloti dobbiamo sempre essere lucidi alla guida”.
L’esordio in Formula 1 di Ratzenberger e il dramma
La partenza in F1 non è delle migliori: nel Gran Premio di casa di Ayrton Senna (non un pilota a caso per Roland, come purtroppo saprete) in Brasile, Ratzenberger non riesce a qualificarsi e dunque non parteciperà alla gara della domenica, a causa chiaramente di una Simtek tutt’altro che competitiva. Ottimo, però, è il weekend ad Aida, nel GP del Pacifico: Ratzenberger prima si qualifica con il 26esimo e poi, a causa dei ritiri, riesce a risalire fino all’undicesima posizione nel suo unico GP corso in carriera.
A Imola, però, il dramma. Sotto il sole del circuito imolese Ratzenberger perde il controllo della sua auto, andando a sbattere alla curva Villeneuve a 314.9 km/h. La vettura resiste bene, ma la decelerazione è tale da provocarne la morte sul colpo: Roland verrà dichiarato morto alle 14:15, 7 minuti dopo il suo arrivo in ospedale a Bologna, anche se in realtà l’austriaco era già deceduto nel momento dei primissimi soccorsi.
Immediate le critiche alla vettura e al circuito di Imola (poi modificato): un dramma, quello di Ratzenberger, spesso ricordato in coppia con quello di Ayrton Senna, morto il giorno dopo. “Ayrton e Roland si conoscevano“ racconta Rudolf Ratzenberger, “li aveva presentati il fisioterapista di Senna, austriaco anche lui. Ma mio figlio era rispettoso, capiva che c’era un divario, anzi un abisso, tra lui che era in F1 da soltanto 53 giorni e Ayrton che correva nella categoria regina da 10 anni”.
Continua, poi, il ricordo del padre: “Ricordo la sua ultima telefonata alla mamma: ‘è una pista pericolosa mamma, se si sbaglia, si rischia troppo, ho una macchina povera, freni non adatti…’. Fu l’ultima volta che sentimmo Roland.
Vi ringrazio perché non l’avete dimenticato. E benedico anche Ayrton per quella cosa lì“.
“Quella cosa lì” era la bandiera austriaca che Ayrton Senna conservava nella sua abitacolo, pronta per essere sventolata il giorno dopo.
Il brasiliano non sventolerà mai quella bandiera: soltanto 24 ore dopo, infatti, anche Ayrton conobbe il suo triste destino nel più crudele dei weekend mai visti ad Imola e nella storia della Formula 1.
Fonte: Emanuela Audisio