Il fine settimana del gp del Qatar è sempre più alle porte, e come due anni fa si risollevano i dubbi sul perché la F1 deve correre a Losail
E ci risiamo, di nuovo qui a parlare di ipocrisia o cosa sia giusto fare nello sport. Sebbene sport e politica sia un binomio che non faccia impazzire particolarmente gli appassionati di qualsiasi attività, è praticamente inevitabile non parlare del contesto che circonda uno degli appuntamenti più contraddittori del mondiale. Parlando di mondiale, quello di calcio si è svolto poco meno di un anno fa proprio in Qatar, con stadi e altre infrastrutture costruite (e poi abbattute, alla faccia della sostenibilità) in modo illecito e a tempi record. Senza contare i migliaia di operai impiegati e sfruttati a lavorare così duramente anche per venti ore al giorno senza retribuzione. Ed ecco perchè, il GP del Qatar in F1 è davvero un’ipocrisia.
A oggi si rilevano 6.500 lavoratori morti nella costruzione dei suddetti impianti sportivi a causa, appunto, delle condizioni lavorative pessime e totalmente prive di sicurezza. Nostro malgrado una cosa abbastanza simile è accaduta per la costruzione del circuito di Losail, usato anche da Motogp, nel non lontanissimo 2004, in un tempo record di solo un anno e con più di 1000 lavoratori a disposizione. Ebbene i 58 milioni spesi per il primo gp del Qatar nella storia hanno rappresentato la rampa di lancio per uno dei tracciati più versatili in circolazione (anche il WEC è sbarcato al termine del 2022).
Il perché dell’accordo con F1
L’accordo con F1 andato in porto nel 2021 con il governo e la federazione della pista qatariota, avvenuto in epoca pandemica e durato solo un anno, pare esser stato rinnovato non solo per questa annata bensì anche per la prossima stagione. 2 anni fa i dubbi furono molteplici date le precarie condizioni sociali del Paese e della tutela dei diritti umani, soprattutto per le donne.
Alla vigilia del gp 2021, Amnesty International tuonava con un appello a piloti e team, commentando così: “Non è un segreto che i paesi ricchi del Medio Oriente vedano lo sport di alto livello come un mezzo per rinominare e lavare le loro immagini pubbliche, e un Gran Premio in Qatar farebbe più o meno lo stesso. I piloti e i loro team dovrebbero essere preparati a parlare dei diritti umani in Qatar in vista di questa gara, facendo la loro parte per rompere l’incantesimo del lavaggio sportivo e della gestione dell’immagine”.
2 anni dopo, siamo di nuovo lì, con una situazione immutata. Eppure F1, calcio e Motogp continuano a fare il gioco dell’Emirato, con accordi milionari che piacciono a pochi, eccetto governatori e organizzatori. I piloti, mai in contrasto con le decisioni di F1 e Federazione, hanno sempre avuto poche opportunità per esprimere la propria in merito a queste delicatissime situazioni sociali e al fatto di dover correre in un Paese come il Qatar (non che l’Arabia Saudita sia santa). Ma quanto ancora si potrà andare avanti così, pensando solo ed esclusivamente al denaro e ignorando situazioni gravi come queste? E la domanda ora sorge spontanea: è allora più ipocrita la F1 o il Qatar?
Foto: Eurosport, F1